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jueves, 9 de abril de 2009

Especiales de La Coalición: Las dos "raisons" del Conde Joseph de Maistre



LE DUE RAISONS DI JOSEPH DE MAISTRE

Especiales de la Coalición

Piero Venturelli

Bolonia





Nell’ambito della sua inappellabile condanna dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese, il pensatore e diplomatico savoiardo di fede cattolica Joseph de Maistre (1753-1821) accusa i philosophes settecenteschi, da Voltaire (1694-1778) a Condorcet (1734-1794) e da Jean-Jacques Rousseau (1711-1778) a Condillac (1715-1780), di aver coltivato una filosofia della volontà che metteva capo ad un fare umano non più assistito da Dio e sprezzante dei legami col passato. Egli, tuttavia, esorta a non essere generici e superficiali nelle valutazioni che si danno intorno ai caratteri e all’oggetto dell’empio culto della dea Ragione fondato dagli illuministi: quest’idolatrica religione glorificava, infatti, la raison individuelle, non già la raison universelle. Qual è, nella prospettiva maistriana, la differenza tra i due tipi di ragione?

Secondo l’autore savoiardo, la raison individuelle è la ragione laica che programmaticamente si ribella al dogma e alla consuetudine, voltando con sdegno le spalle a Dio e alla storia. Priva di ogni senso del limite, essa illude l’uomo di poter divenire creatore di importanti novità e finanche artefice tout court del suo proprio destino. Nella visione maistriana, inculcare nelle menti degli individui l’idea che essi non abbiano vincoli e che, anzi, tutto possano, provoca effetti perniciosi: la contestazione sia dei fondamenti e delle istanze della religione sia del principio di autorità; la nascita di uno scetticismo disgregatore di ogni cosa; la legittimazione di incontrollabili correnti di pensiero dissolutrici, fondate su concezioni astratte della natura umana.

A ben vedere, la raison individuelle non si dimostra altro che la maschera della passione, vale a dire della volontà sciolta dai legami con le norme eterne e universali fissate dai «dogmi comuni»; una ragione tendenzialmente distruttrice, quindi, perché incapace di sottomissione e insofferente di ogni confine o vincolo superiore. Sebbene non si spinga fino a disconoscere una forza primigeniamente vitale come il sentimento, il filosofo savoiardo ritiene esista un unico modo per salvaguardare la naturale compostezza dell’uomo, evitando l’insorgere dei conflitti più perniciosi: l’aver sempre cura che le passioni restino subordinate alla ragione vera, quella universale.


Che cosa intende Maistre, allora, con la formula raison universelle? Egli spiega che questo tipo di ragione è frutto della mescolanza di «dogmi» religiosi e politici e di «pregiudizi», i quali ultimi non coincidono necessariamente con idee false, ma sono «seulement, suivant la force du mot, des opinions quelconques adoptées avant tout examen» (Étude sur la souveraineté). I fattori costituenti la raison universelle vengono avvertiti dall’uomo come rivelati una volta per tutte, come indipendenti dalle volontà singole e sottratti al giudizio della raison individuelle.

La ragione universale riconosce un ruolo di primo piano alle tradizioni, trasmesse di generazione in generazione, specie in forma orale. Il pensatore savoiardo ritiene che, a livello naturale (ossia prescindendo dalla Rivelazione), per sincerarsi della verità di un principio o di un valore sia necessario e sufficiente considerarne la presenza nella «coscienza generale», giacché i princìpi e le credenze costantemente universali (identici in ogni civiltà, in ogni tempo e in ogni luogo) non possono mai essere falsi, ma vengono piuttosto a rappresentare il patrimonio delle verità permanenti da cui è sacrilego e pericoloso prescindere. Le tradizioni, in quest’ottica, si situano al punto di incrocio tra storia e Dio, combinando e rendendo compatibile il gioco delle circostanze con la stabilità della cornice giusnaturalista: la storia si fa veicolo di tradizione come messaggio divino che agisce, appunto, nella storia. La raison universelle è depositaria di quei “resti” di verità che permangono nel tempo: essi si evidenziano quando la verità viene liberata dagli errori contingenti e particolari di cui l’uomo l’ha «couvert et, pour ainsi dire, encroûté» (Les soirées de Saint-Pétersbourg).

Maistre sottolinea come la raison individuelle tenda a cercare un’oggettivazione, una codificazione, illudendosi che l’irrigidimento nella forma scritta possa dare un contenuto a ciò che è di per sé vuoto. Egli osserva che chi pretende di creare una costituzione ex novo, produce una letale frattura con la tradizione e ripudia la Divinità, senza il cui soccorso è impossibile fondare alcunché di duraturo. La ragione individuale e separata, assolutamente incapace di comprendere la realtà del mondo storico, non sa riconoscere né l’attività creativa che è naturale all’uomo né come essa sia in grado di esplicarsi rimanendo nel suo ambito più proprio. Secondo Maistre, in luogo della distruzione per ricostruire sul nulla e dal nulla, l’obiettivo della raison individuelle, occorre che il genere umano punti a ricongiungersi al Principio di ogni cosa, Principio che è insieme creatore e conservatore, impegnandosi così in qualcosa di simile ad una marcia che va nel senso opposto a quello della decadenza.


Rimanendo sul piano metafisico, il pensatore savoiardo afferma che la ragione che diviene «scismatica» e «dispersiva» tende a disgiungere ciò che era e doveva restare unito, dunque partecipa dell’essenza nichilista del male: essa rappresenta la non-verità, cioè la negazione dell’unità dell’Essere, costituente il bene. Nel quadro interpretativo maistriano, l’uomo, commettendo il Peccato originale, decadde volontariamente dal piano su cui lo aveva posto il Creatore; il male che affligge la creatura, e che l’accompagna per tutta la vita, non è altro che la conseguenza di quell’iniziale ribellione. La venuta di Cristo intese non già correggere o dar compimento alla prima Rivelazione, quella associata alla creazione dell’uomo da parte di Dio a Sua immagine e somiglianza e come signore degli animali, bensì riproporre integralmente la stessa e unica verità da cui l’uomo, nella Colpa, si era separato; e oggigiorno quest’ultimo è ancora una volta chiamato a riconoscersi come pienezza di Essere.



Secondo la ricostruzione maistriana, il peccato individualista non venne introdotto nel pensiero europeo né dalla tradizione elleno-latina né dal genio cattolico romano medioevale, quanto dalle genti barbariche che albergavano nella «foresta germanica» e che non conoscevano alcuna disciplina mentale, morale ed estetica. La Riforma protestante, scaturita anch’essa nel mondo germanico, portò avanti l’opera distruttiva contribuendo alla diffusione e al radicamento di tale individualismo fomentatore di conflitti. La situazione si aggravò durante il XVIII secolo, allorché le concezioni dei philosophes misero ancor più l’accento sul valore irriducibile del singolo uomo, preferendo la raison individuelle alla raison universelle.
In larga misura preparati e promossi dalla cultura illuminista, gli «immortali princìpi» dell’Ottantanove sembrano a Maistre affondare le radici sia nelle istanze «scismatiche» ed «individualistiche» del protestantesimo sia nelle concezioni di taluni autori britannici, sir Francis Bacon (1561-1626) e John Locke (1632-1704) in testa. A suo dire, la filosofia moderna pecca gravemente di orgoglio credendo che gli uomini possano pensare ed agire liberamente solo se abbandonano il sostegno della fede e delle tradizioni. Tale rabbiosa non meno che tracotante sfida a Dio, portata ad una radicalità e ad una diffusione inusitate dal pensiero illuminista, sta precipitando gli uomini nella più spregevole e arida solitudine.

Negando la sussistenza dei sottili rapporti fra il visibile e l’invisibile, dell’azione della Provvidenza e dei poteri della preghiera, la raison individuelle brandita dai philosophes ha instillato nelle nazioni un nefasto spirito d’irreligione e vagheggiato una morale bassamente umana, con l’obiettivo di demolire quella visione sacrale della realtà che era caratterizzata dall’intima connessione tra fede e ragione. La scienza moderna, osserva Maistre, è nata proprio a questo scopo: infrangere tale unità, indirizzando l’attenzione dell’uomo esclusivamente sulla pura dimensione del misurabile e del fenomenico, senza curarsi degli aspetti spirituali propri della tradizione.

Il teorico savoiardo ammonisce contro la nocività di quella forma di sapere che non può contare su una garanzia superiore, cioè contro il dominio della raison individuelle, la quale ritiene che solamente azzerando la realtà e la dimensione religiosa dell’esistenza gli uomini siano in grado d’incamminarsi verso l’età dell’oro. A suo avviso, questa non è altro che una perversa idolatria che impedisce tanto di comprendere la storia quanto di metter capo ad un agire che, rifiutate tutte le ormai usuali visioni vuotamente perfettistiche, risulti davvero sensibile agli autentici bisogni dell’uomo.

La “macchina” del progresso, rileva Maistre, si sta trasformando in un movimento affatto autonomo, in un processo non controllato né frenato da alcuna istanza limitatrice e datrice di direzione: sovente, l’impressione è che lo sviluppo tecnico-scientifico stia prendendo la mano all’uomo mettendolo di fronte a situazioni difficili, inaspettate e piene di incognite. Per non parlare del nocivo frazionamento specialistico, anch’esso causato dalla mancanza di un principio superiore e unitario del sapere moderno.


La polemica maistriana, come si vede, è indirizzata contro lo scientismo, ossia la risoluzione dell’istanza metafisica nella scienza, non contro la vera scienza. Mentre quest’ultima appare decisa a proseguire sulla via della collaborazione plurimillenaria tra fede e ragione, lo scientismo, non mostrando alcun rispetto nei confronti di quel vincolo costitutivo e naturale per cui l’uomo riconosce il proprio originario radicamento in Dio, tende a trasformare le persone in meri strumenti e oggetti della scienza divinizzata. La mancata individuazione, da parte dell’Illuminismo, dello stretto legame che unisce ragione e Divinità, sta facendo precipitare il sapere scientifico nella più infima e barbara superstizione, poiché non sono tenuti in alcun conto quegli insegnamenti universali della fede che nella storia hanno sempre costituito uno stimolo e un aiuto nell’avanzamento delle conoscenze. Tutto ciò avviene, spiega il pensatore savoiardo, in quanto la scienza moderna, così come la filosofia moderna, cede alle lusinghe dell’orgueil, il peccato che incarna la matrice di tutti i delitti e gli errori umani. L’accantonamento dell’orgoglio, dunque, è conditio sine qua non del contenimento delle pretese della ragione individuale, astratta e negatrice del limite, e del conseguente ripristino della naturale cooperazione tra scienza e religione.

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