Charles Maurras e i nefasti del Mondo Moderno
Especiales de La Coalición
Piero Venturelli
Il filosofo della politica e intellettuale francese Charles Maurras (1868-1952) accusa il mondo moderno di aver irresponsabilmente sostituito il credo cattolico con la fede negli «immortali princìpi» dell’Ottantanove, dando così l’avallo, dal suo punto di vista, al radicamento negli animi di idee materialistiche e cosmopolite, in una parola antitradizionali. Egli ritiene che sia particolarmente nociva e foriera di crescenti sventure la celebrazione dell’uguaglianza, perché quest’ultima gli pare uno dei frutti più tossici dell’immaginazione umana, una costruzione mentale fuorviante che non ha riscontri solidi nella realtà e che determina impetuosi eccitamenti negli uomini. Maurras, al contrario, individua nella disuguaglianza considerevoli aspetti positivi, che la rendono l’unica possibile legge dello sviluppo sociale; il rispetto di questa legge, egli rileva, assicura con l’ordine anche il progresso.
Il pensatore francese è convinto che la disuguaglianza costituisca un ineliminabile dato di partenza e, al medesimo tempo, che la capacità di innovazione rinvii piuttosto alle minoranze guidatrici che ai grandi numeri sociali. Egli fa notare che, se nessuno può mettere in dubbio che lo sviluppo materiale abbia dato maggiori agi e ricchezze agli uomini, cionondimeno tale sviluppo non definisce affatto il progresso, dal momento che quest’ultimo si accompagna a un corso eroico-aristocratico, ossia spirituale, della storia. Ciò spiega, a suo avviso, perché i moderni non si rivelino all’altezza degli antichi: dalla Rivoluzione Francese in poi, gli individui e le società hanno interrotto questo ciclo per cadere nella volgare materialità.
Pur considerando aristocratico il vero progresso, cioè pur additando nella concentrazione delle risorse la condizione (non esclusiva, ma necessaria) per produrre benessere e sviluppo sociale autentici, Maurras non nega che talune forme di disuguaglianza, se troppo perpetuate e troppo radicalizzate, rendano sterili i beni: anzi, egli è persuaso che la storia insegni che la dissipazione e la pigrizia sono figlie dell’abbondanza, laddove la povertà costituisce un pungolo energico e salutare che stimola l’uomo ad ingegnarsi e, in questo modo, ad allontanarsi dalle forme più gravi di indigenza. Da tutto ciò, nell’ottica dell’autore francese, derivano compensazioni e oscillazioni naturali, il cui effetto di bilanciamento e di mitigazione è indubbio, sino al risultato finale di far regnare una misura di equilibrio. Di qui, i virulenti attacchi di Maurras contro le tendenze moderne volte all’eliminazione delle disuguaglianze senza che vi sia una preventiva distinzione realistica tra queste.
Secondo il teorico conservatore, esiste un regime che meglio degli altri asseconda questo tentativo tipicamente moderno d’instaurare un’uguaglianza radicale: si tratta della democrazia. Dal suo punto di vista, essa non può costitutivamente tollerare distinzioni e preminenze, e si profila come una sorta di «luogo naturale» della confusione e dell’irragionevolezza, caratterizzato dalla passionalità e dalle pretese degli elementi peggiori della comunità. Nella democrazia, tutto è continuamente dibattuto e messo in discussione, senza che sia possibile addivenire a una pace interna che risulti duratura. Questa condizione d’instabilità, spiega Maurras, costituisce l’esito inevitabile di un sistema che prevede non solo che tutti comandino e tutti obbediscano, ma pure che i cittadini vengano sovente chiamati ad esprimere un’opinione attraverso il voto su questioni che essi avvertono come lontanissime o che ignorano. E, a suo dire, sono appunto gli ideali della sovranità popolare e del governo della maggioranza numerica ad essere fallaci, dal momento che gli paiono l’antitesi dei veri princìpi, quelli che affondano le radici nell’ordine spirituale dell’esistenza e nella tradizione cristiana.
La democrazia viene inoltre accusata da Maurras d’incarnare la resa di fatto della politica nella sua forma più autentica: proprio perché alieno dai dogmi religiosi e dal rispetto per il passato, proprio perché nemico della gerarchia e passionale per definizione, questo regime gli sembra rappresentare terreno fertile per quelle derive oligarchico-economicistiche, tipicamente moderne, le quali, se non arrestate in tempo, finiranno con l’instaurare il ferreo dispotismo dell’Oro. La democrazia, infatti, rifiuta di attribuire valore e legittimità a ciò che non è stato votato, scelto dalla maggioranza, dimostrando così di non possedere strumenti idonei per reagire con efficacia alla morsa materialista del Numero e del Denaro. Se dapprima questi due elementi, di natura quantitativa, si combinano alimentando la demagogia, col tempo il secondo, afferma Maurras, tenderà a prevalere sul primo, dimodoché la democrazia andrà trasformandosi progressivamente in oligarchia plutocratica tout court; presto, dunque, della democrazia rimarranno solo i suoi riti, ormai ridotti a cerimoniali senza significato ed effetti rilevanti.
Nella visione dell’intellettuale francese, il destino del mondo moderno, democratico e materialista, è chiaro: la caduta in una plutocrazia refrattaria alla dimensione spirituale dell’esistenza umana, all’economia produttiva e alla proprietà terriera, cioè a tutti quei fattori che, a vario titolo, si frappongono al successo internazionale della Finanza pura. Per questo, egli ritiene che sia in corso il tragico capovolgimento della tradizione occidentale: laddove un tempo l’economia era definita e considerata come il regno dei mezzi, oggigiorno essa sta diventando l’unico fine della storia; e ad aggravare la situazione, egli osserva, è l’invisibilità della ricchezza finanziaria, che approfitta di tale suo subdolo carattere per concentrarsi smisuratamente senza destare grandi opposizioni. Se non vi saranno interventi risoluti e tempestivi volti ad arrestare la decadenza in atto, rileva il teorico conservatore, la forte concentrazione di risorse finanziarie, difficilmente controllabili anche in termini di allocazione territoriale, arriverà a turbare pesantemente la competizione politica ed elettorale, e riuscirà nel prossimo futuro a controllare sempre meglio l’intero sistema dei mezzi di comunicazione di massa, a loro volta influenti sui processi elettorali e sulla vita politica generale.
Nel quadro interpretativo maurrassiano, la mentalità moderna incontra sulla propria strada un avversario temibile e potente, la Chiesa cattolica, che è custode terrena dell’autentica religione cristiana. Quello che oppone modernità e cattolicesimo si rivela, secondo il teorico francese, uno scontro decisivo tra la forza materiale e la forza spirituale, da cui uscirà vincitore l’uomo-bestia ovvero l’uomo tradizionale, l’individuo abbruttito e livellato verso il basso ovvero l’individuo che reca ancora con sé alti valori morali, estetici e intellettuali. Maurras constata che, purtroppo, le altre religioni portano gravi responsabilità storiche per aver agevolato lo sviluppo e la diffusione della moderna mentalità materialistica ed ugualitaristica. In particolare, egli incrimina l’ebraismo di aver lungamente e pervicacemente propugnato una concezione del mondo cosmopolita e un modello umano dedito in primis alle speculazioni affaristiche. Come molti francesi suoi contemporanei, Maurras vede nel semita, che non conosce la proprietà della terra, ma soltanto quella dell’oro, il pericoloso dissolvitore dei vincoli nazionali; l’oro, cioè il capitalismo finanziario, ha infatti il mondo intero come suo campo d’azione, quindi non ha patria. La forma degenerata di capitalismo che sta diffondendosi dappertutto in epoca moderna, sostiene l’intellettuale conservatore, è un prodotto di quell’intelligenza astratta che egli considera tipica degli ebrei di ogni tempo. D’altronde, egli è persuaso che la stessa formazione delle «eresie» protestanti e lo stesso diffondersi del deismo debbano molto all’assolutizzazione di questi aspetti anarchici e internazionalistici connaturati alla mentalità giudea. Questa sollevazione negatrice dei princìpi dell’autorità e della gerarchia nell’ambito del sacro, rileva il pensatore francese, è andata via via a corrodere i pilastri del mondo tradizionale, con gli esiti nefasti che sono ormai sotto gli occhi di tutti.
Nell’ottica maurrassiana, il compito di tener testa al culto idolatrico del dio Denaro e di salvaguardare le differenze culturali e nazionali tra gli uomini, dunque, è da affidare soprattutto al cattolicesimo tradizionale. Quest’ultimo ha saputo «organizzare» l’idea dell’Essere divino grazie ad una felice combinazione tra sentimento cristiano e disciplina ricevuta dal mondo greco e romano: sul cammino che conduce a Dio, infatti, il cattolico trova legioni di intermediari, terrestri o sovrannaturali, santi o beati o figure esemplari, e la catena dagli uni agli altri è continua; ciò significa che, rimanendo all’interno di una prospettiva monoteistica, l’universo conserva il suo carattere naturale di molteplicità, di armonia, di composizione. In questo modo, sottolinea Maurras, anche se Dio continua a parlare nel segreto del cuore umano, i Suoi ordini e i Suoi insegnamenti sono controllati e come convalidati dai Dottori, guidati a loro volta da un’autorità superiore, la sola che sia senza appello, conservatrice infallibile della dottrina. Eccoci allora, egli osserva, dinanzi all’autentica tradizione, nello spazio e nel tempo, immune da qualsiasi divagazione e fantasia, quella stessa tradizione che da secoli, mentre riconosce una funzione fondamentale alla sfera della trascendenza, consegna ai popoli un mondo nel quale è la politica a rappresentare la dimensione della generalità.
Che cosa accade nell’Europa moderna, invece, secondo il teorico francese? A suo parere, sta prendendo corpo una vera e propria «tradizione della morte», incentrata sulle istituzioni e sulla mentalità democratiche. Come detto, egli accusa la democrazia di essere sprovvista di una sia pur minima visione della costruttiva continuità e, insieme, di avere una naturale propensione a spazzar via tutto ciò che trova sul proprio cammino, nel pieno disprezzo di tutti i lasciti morali, intellettuali, istituzionali ed economici ereditati dal passato e resistiti alla prova del tempo. A questo regime, in definitiva, è imputata dall’intellettuale conservatore la doppia incapacità di porre e far agire i membri della nazione in spirito di solidarietà, e di garantire il necessario legame tra le generazioni: il che, a suo dire, spalanca le porte ad un nichilismo sacrilego e lacerante, ad un irreversibile imbarbarimento degli uomini e delle società.
martes, 8 de septiembre de 2009
Charles Maurras e i nefasti del mondo moderno
Publicado por Víctor Samuel Rivera en 10:25
Etiquetas: antiliberalismo, antimodernidad, Charles Maurras, l'Action Française, Piero Venturelli
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15 comentarios:
Amigo Venturelli,
Al fin creo que entiendo algo del pensamiento de Maurras. Ha salido mucho a colación estos días por acá, por un artículo de historia. Veo que Maurras era antinihilista. ¿Cómo se resuelve en la practica enfrentar las fuerzas disolventes de la democracia? Según Maurras, se entiende. De antemano, muchas gracias.
Gentile Pedro Pablo,
Per ragioni di spazio, dividerò in tre parti la mia risposta.
Come rimedio alla crisi nichilistica dell’Occidente, Charles Maurras propone il recupero consapevole della monarchia tradizionale da parte delle diverse nazioni europee. Pur prendendo le mosse e riferendosi in particolar modo al contesto storico e culturale francese a cavallo tra la fine del XIX e i primi decenni del XX secolo, periodo caratterizzato dalla Terza Repubblica, il suo discorso politico ambisce ad allargarsi all’intero Vecchio Continente, e non solo al Vecchio Continente.
In un mondo che egli giudica ormai avviato ad essere egemonizzato dalla Finanza internazionale, la riflessione maurrassiana è volta sia alla difesa del cattolicesimo sia al recupero del primato della politica. L’attacco della modernità al paradigma tradizionale si concreta, infatti, nella riduzione gli spazi della politica, che nella storia dei popoli europei ha sempre rappresentato la dimensione della generalità, e nel progressivo mancato riconoscimento di una funzione cruciale alla sfera della religione e della trascendenza.
Per superare questa fase critica della storia dell’Occidente e porre rimedio alle derive economicistiche, l’autore ritiene indispensabile stimolare con armi culturali e politiche il recupero della consapevolezza dell’importanza dell’istituzione regia, che – nella sua visione – sarebbe ancor oggi capace, come nel passato, di garantire la libertà, l’ordine sociale, la differenziazione tra gli uomini in base alla loro natura e una soddisfacente vita spirituale di ogni membro della nazione.
L’obiettivo maurrassiano è di ricollegare l’istituto monarchico alla tradizione nazionale di Francia, cioè alle realtà autentiche della storia, alla natura delle cose, alla costituzione intrinseca della patria, non alle fantasie della ragione astratta, individuale e individualista. Secondo l’autore, esclusivamente attraverso questo recupero consapevole è possibile impedire che si diffondano tutte quelle abitudini e quegli errori che hanno cominciato a radicarsi durante la stagione repubblicana. C’è da tenere presente, poi, che nella storia di ogni Paese sono necessari di tanto in tanto modifiche e cambiamenti; e queste riforme, per essere coerenti e durevoli, devono prevedere un punto fisso al quale appoggiarsi, altrimenti la nazione cade nel disordine. Di fronte agli abusi del recente passato e del suo tempo, quindi, Maurras ritiene occorra ripristinare con tempestività la forma monarchica tradizionale, l’unico ordinamento che nella storia gli pare essere sempre stato in grado di garantire la pace pubblica e di correggere gli errori, di incoraggiare le riforme idonee a produrre fatti nuovi e di mettere un freno robusto al disordine e alle sue cause, senza però indulgere all’inerzia, all’immobilismo, all’apatia; e, anzi, l’autore è convinto che alla monarchia siano indispensabili le riforme, se essa vuole conservarsi.
Gentile Pedro Pablo, La rimando alla seconda parte della risposta, che può leggere nel mio prossimo commento.
Piero Venturelli
Gentile Pedro Pablo,
Nella visione maurrassiana, la storia di Francia dimostra che l’istituto monarchico tradizionale non solo è consustanziale al cattolicesimo, ma prevede anche che alla politica venga riservato un ruolo centrale.
A giudizio dell’autore, non può darsi alcuna società, vale a dire aggregazione organizzata, senza regole di ordine politico, senza sovranità. Non è un contratto tra singole volontà individuali a fondare una società, bensì un idem sentire che ha la sua proiezione nel riconoscimento di un comune interesse politico. Entro tale quadro, lo Stato è una delle forme istituzionali in cui si è espressa nel tempo questa convergenza della società e del suo nucleo costitutivo di ordine sovrano.
La mano pubblica dev’essere limitata al proprio ruolo specifico, a ben definite competenze e attribuzioni: vi è, infatti, una divisione del lavoro che riconosce autonomia costitutiva alla società civile nelle sue plurime e pluralizzate articolazioni e nei suoi meccanismi sia decisionali sia di selezione delle rispettive dirigenze.
Come si vede, Maurras si fa portabandiera di un primato esclusivamente regolativo della politica, attribuendo a quest’ultima la funzione di ordinare la comunità e, allo stesso tempo, di riconoscere e annoverare tra le proprie regole l’autonomia tendenziale della società civile. Tale posizione mette in luce la distanza dell’autore dal panpoliticismo, secondo cui tutto è politica, tutto è politico: allo Stato, infatti, egli non esita a proscrivere l’intervento in prima persona nei diversi campi in cui si esprime la vita individuale e collettiva.
La terza e ultima parte della mia risposta, gentile Pedro Pablo, si trova nel prossimo commento.
Piero Venturelli
Gentile Pedro Pablo,
Secondo Maurras, la società si basa sulla famiglia, sua prima unità, e risulta articolata in diversi altri gruppi più complessi, senza i quali ogni vita umana sarebbe soffocata: i comuni, le associazioni professionali e confessionali, e una varietà infinita di corpi e di compagnie. In quest’orizzonte dottrinale, lo Stato non è che un organo, indispensabile e primordiale, della società: lo Stato, quale che sia, è il funzionario della società. Il vero Stato, quindi, riconosce l’autonomia della società e non ha quasi nulla a che fare con gli individui privati: esso, piuttosto, esercita le proprie attribuzioni soltanto sui corps compresi entro il perimetro statuale e soprattutto sulle loro reciproche interazioni, limitandosi a salvaguardare le supreme esigenze dell’ordine, della sicurezza e della difesa, ambiti nei quali la sua iniziativa è prioritaria e inopponibile.
Nella visione maurrassiana, pertanto, la libertà dell’uomo è riconducibile all’articolazione pluralizzata della società, costituita più di distinzioni e specificità che di uguaglianze ed uniformità. A questo proposito, egli pensa che chi dica libertà reale, dica anche autorità. La libertà di fare testamento crea l’autorità del capo-famiglia; la libertà comunale o provinciale crea il potere reale delle autorità sociali che vivono e risiedono sul posto; la libertà religiosa riconosce l’autorità delle leggi spirituali e della gerarchia interna d’una religione; la libertà sindacale e professionale consacra l’autorità delle discipline e dei regolamenti all’interno delle corporazioni e compagnie di mestieri.
In questo senso, si può affermare che l’idea di autorità è ben lungi dal contraddire l’idea di libertà: piuttosto, la completa e ne è compimento. A giudizio di Maurras, dunque, nel momento in cui una libertà umana perviene al punto più alto, trovando oggetti umani sui quali applicarsi e imporsi, prende il nome di autorità.
Come dicevo, l’autore è persuaso che il compito precipuo dello Stato consista nel mantenimento dell’ordine politico. In mancanza di quest’ultimo, a suo avviso, non è pensabile alcuna seria azione dello spirito o della materia. Una volta garantito l’ordine politico, lo Stato deve arrestare la propria azione, è tenuto a non ingerirsi nelle libertà-autorità particolari presenti nella società. Anzi, esse gli servono per delimitare con chiarezza i propri compiti precipui, fissando nettamente i termini entro i quali – secondo le condizioni storiche e la tradizione nazionale, nonché la configurazione geografica – l’autorità sovrana si dispiega. Dall’uomo allo Stato e ai gruppi intermedi, ciascuno deve fruire di quella parte di autorità-libertà che il naturale ordine delle cose gli permette, senza livellanti forzature ugualitarie e prendendo realisticamente atto delle ineludibili gradazioni di gerarchia sociale.
In queste poche righe, gentile Pedro Pablo, spero di essere riuscito a chiarire in maniera adeguata alcuni dei punti cruciali della composita riflessione filosofico-politica di Maurras.
Un cordiale saluto.
Piero Venturelli
Interesante.
Ante todo, felicidades por la seriedad del post. Es impecable. Siguiendo con la polémica, de la respuesta de Piero se desprende que la expansión de las instituciones igualitarias es igual (¿?) o coincide con el desarrollo del mundo del mercado. ¿No es una conocida tesis antimoderna, que se sostiene en que el mundo burgués da primacía a la esfera económica, en cuya lógica subordina otros órdenes de interés humano, incluido el que Piero llama "trascendente" (¿religión y monarquía?)? ¿Hay por esto que renunciar al mundo industrial, al desarrollo? ¿O es que hay mundo industrial y desarrollo sin democracia?
Gentile Anonimo,
Dopo aver letto le Sue interessanti osservazioni, vorrei svolgere qui di seguito alcune brevi considerazioni.
Maurras prende posizione contro chi vuole fondare ex novo una (pseudo-)tradizione senza tener conto della concretezza storica e contro chi vuole creare un’inedita (pseudo-)gerarchia sulla base di entità esclusivamente mondane (denaro). Come gli altri pensatori controrivoluzionari, egli è convinto che l’autentica tradizione abbisogni di continuità, di trasmissione – specie in forma orale – da una generazione all’altra del patrimonio di sapienzia degli avi; la vera gerarchia, a suo avviso, non può che avere stretti legami col sacro e con la trascendenza.
Per quanto riguarda l’economia, le concezioni maurrassiane le riconoscono un’importanza non secondaria e, nell’ambito della sfera della società civile, una sua indiscussa autonomia. Il vero obiettivo polemico dell’autore è la crescita priva di controllo della finanza, processo che gli sembra star diventando travolgente soprattutto nei decenni in cui egli scrive. Il potere della finanza, nell’interpretazione di Maurras, sta investendo non soltanto l’ambito “temporale”, ma anche quello “simbolico”.
Ad avviso del nostro pensatore, come ho cercato di mostrare nel post, si sta diffondendo una vera e propria plutocrazia, che tende al declassamento della sfera spirituale, nonché alla marginalizzazione dell’economia produttiva e della proprietà terriera, cioè di tutti quegli elementi che – a vario titolo – si frappongono al successo internazionale della finanza pura. Maurras è ben conscio che le inclinazioni di quest’ultima, se non arrestate in tempo, porteranno inevitabilmente a forti concentrazioni di risorse finanziarie anche in termini di allocazione territoriale, il che avrà come esito – fra l’altro – l’interferenza non solo nella competizione politica ed elettorale, ma pure nell’intero sistema dei mezzi di comunicazione di massa, a loro volta influenti sui processi elettorali e sulla vita politica generale.
L’autore, pertanto, lungi dal condannare in toto il mondo industriale e commerciale, è persuaso che siano le costitutive tendenze internazionali e livellanti della finanza ad essere incompatibili con l’equilibrato sviluppo economico delle nazioni europee del suo tempo. E inoltre, par di capire che, nella sua prospettiva, esclusivamente la restaurazione di monarchie nazionali che non rinnegano la tradizione e che riassegnano alla politica un ruolo centrale nella vita pubblica, porti con sé anche la garanzia per gli operai e per i popoli tutti di una drastica limitazione degli abusi, delle ingiustizie e degli scompensi che sono stati cagionati dalla recente Rivoluzione industriale. Quest’ultima, non essendosi trovata nel recente passato dinanzi ad una politica all’altezza della propria funzione tradizionale, aveva condotto all’assolutizzazione dei valori della sana economia produttiva, preparando così – allo stesso tempo – la futura egemonia della finanza internazionale. In tal modo, reputa Maurras, le basi plurimillenarie della civiltà occidentale erano state seriamente compromesse, col rischio – che si è fatto ormai imminente – di venire meno del tutto; perché non si precipiti nell’abisso, quindi, egli ritiene necessario ed urgente che i popoli europei tornino con piena consapevolezza alle monarchie nazionali e alla fede cattolica.
Un cordiale saluto.
Piero Venturelli
Yo no conozco tanto del pensamiento conservador, pero por una coferencia de hace poco del Dr. Hernando, comprendo que se trata de preservar y puede ser que estimular la "institucionalidad". Eso me recuerda ideas de Hayeck sobre las "formaciones espontáneas" de la vida social, por ejemplo, las corporaciones de artesanos o las cofradías religiosas. Éstas son autónomas del Estado, pero funcionan como factores reguladores del orden social como un conjunto. De su texto, que por el idioma siempre se me escapa un poco, comprendo que hay que buscar la manera de rescatar "instituciones". En Maurras parece que son la monarquía y la Iglesia Católica (para el caso francés). Lo que es cuestionable es cómo aplicar ese programa en un mundo descentrado y multicultural como el nuestro. ¿Usted le ve alternativa? ¿Cómo se sabe qúé instituciones merecen la atención del Estado? Gracias.
Gentile Anonimo,
Sarò pessimista, ma credo che ormai, nonostante la descrizione dei mali del mondo moderno effettuata da Maurras vanti senza dubbio parecchi aspetti interessanti, in questo nostro Duemila la sua proposta complessiva sia del tutto inattuabile: la politica e la religione cattolica non sono da tempo fattori centrali nella vita dei popoli (almeno, di quelli occidentali), le tendenze universalistiche hanno acquisito un enorme vigore, gli ordini professionali appaiono snaturati nella loro essenza tradizionale, le comunità e i poteri locali – finanche gli Stati – risultano di fatto sempre più marginalizzati nel nuovo contesto globale, la dimensione giuridica sta annichilendo la sfera morale (ossia l’ambito della coscienza) degli individui.
Mi sembra che il processo di internazionalizzazione e di rifiuto della trascendenza abbia superato di gran lunga il punto in cui sarebbe stato possibile invertire il cammino; per questo, i rimedi additati da Maurras si rivelano ormai inefficaci, inadeguati, insufficienti.
In altri termini, non penso sia più possibile ritornare collettivamente né alle istituzioni e alla religione degli avi né alla regalità tradizionale, in quanto da diverse generazioni gli individui e le società hanno voltato senza pentimenti le spalle a Dio e al sacro, alla regalità e alla politica, all’economia produttiva e alla natura. A me pare, dunque, che nell’ultimo mezzo secolo (almeno) si sia generata una larga e profonda frattura che le concezioni e gli ammonimenti maurrassiani non sono in grado di ricomporre.
Un cordiale saluto.
Piero Venturelli
Querido Piero;
La salvación vendrá de fuera. Sea del exterior geográfico, sea del fondo irracional del cosmos. Éste es el punto que me gusta de la filosofía de Vattimo: La salvación viene del Oriente.
Hi.
Sigo la línea de argumentación sobre el tema del nihilismo. Al parecer, coincide con lo que los liberales diagnosticaron como "progreso", como "emancipación de la humanidad". Parece que no tiene compostura tampoco. Esa es la lectura de Arnold Gehlen, por citar un caso. Coincido con el profesor Rivera, pero también existe la alternativa más trágica: que hayamos perdido para siempre el orden trascendente, la línea de "la muerte del hombre", del hombre que vive su nada nihilista. Lo que se ve es que no hay salida en el sentido de "un plan" de acción. Eso desorienta bastante.
Caro Víctor,
Ti ringrazio dell'intervento.
L'impostazione eminentemente storico-filosofica del mio post e delle mie risposte ai graditi commenti mi ha impedito di sconfinare in ambiti diversi.
Ciò detto, il tuo commento mi ha richiamato alla memoria posizioni di illustri 'tradizionalisti', alcuni di tendenze 'esoteriche' e altri no.
In particolare, viene da sé il richiamo alla figura di René Guénon, che trascorse gli ultimi trent'anni di vita al Cairo e che a lungo confidò nel 'soccorso' all'Occidente da parte dell'Oriente.
Un pensatore come Julius Evola, che per tanti aspetti è da considerarsi un epigono di Guénon, è invece più scettico intorno alle effettive capacità dell'Oriente di frenare la rovina dell'Occidente 'moderno'.
Chi ha ragione? Non saprei proprio prendere una posizione chiara e ultimativa.
Un caro saluto.
Piero
Estimados Piero y Pedro Pablo;
Era natural que en un texto orientado a presentar a Charles Maurras se tomara en cuenta (y se insistiera) en los parámetros culturales del 900. Las preguntas de los Anónimos y la primera de Pedro Pablo apuntaban, con plena razón, a la cuestión de la vigencia de Maurras bajo los parámetros actuales. Era inevitable terminar cayendo en un diálogo sobre el sentido mismo del pensamiento de fondo de Maurras: el diagnóstico de la modernidad.
Una respuesta es volver a la visión de la modernidad del "esoterismo" y el tradicionalismo guénoniano, pero también apuntar hacia otras fuentes. Ninguna tendrá una relación con la historia que sea mero "actuar", ni "proceder", pues el tema de la modernidad no es técnico. Se funda -creo yo- en dos cosas: 1. que haya un poder fáctico no occidental que tenga control tecnológico y 2. si es posible que acontezca la naturaleza, si la naturaleza de las cosas es capaz de contestar ante lo que la modernidad ha significado política y espiritrualmente. Ambas, 1 y 2, son reales. Existe la China y la Tierra está exhausta.
Qué debemos esperar nosotros de eso en términos de un orden, Dios nos dé tiempo para algo más que entreverlo.
Un abrazo a todos.
Al fin veo cómo es "la coalición". Qué visiones retardatarias se estila en este blog, o sea, la linea es que la modernidad trae una marueca de problemas, todos puros cataclismos, y encima la solución del torbellino es imposible y para colmo se hace quecos a los derrotados en la Segunda Guerra.
Sobre lo último, algo vale que hayan sido derrotados, quiere decir que su lugar en la historia ya está cancelado y es mejor cultivar una cierta conformidad reformista, dentro de los marcos cobsolidados de democracia y demás. Eso es lo que yo concluyo, lo demás es nostalgia.
Gentile Anonimo:
Lei ritiene, dunque, che il genere umano sia giunto alla fine della storia? E pensa che studiare la storia, cioè ricostruire la nostra identità attraverso serie e critiche riflessioni sul passato, sia un'occupazione superflua?
In ogni caso, mi sembra opportuno tenere a mente due aspetti. In primo luogo, il mio post ha carattere storico, non teoretico. In secondo luogo, come si legge nella homepage del blog, i "colaboradores de La Coaliciòn" possiedono "diversidad de enfoques y posiciones", e di questo suo carattere "plurale" va riconosciuto pieno merito a Víctor Samuel Rivera e agli altri "coalizzati", uomini che cercano risposte adeguate a domande di vitale interesse.
Un cordiale saluto.
Piero Venturelli
Estimado Anónimo;
Confirmo el parecer de Piero Venturelli: Independientemente de las consideraciones morales que nos merezca la modernidad, es parte de la naturaleza de las cosas CONOCER EL ORIGEN DE NUESTRAS EXPERIENCIAS Y CONCEPTOS HISTORICOS.
EL ORIGEN TIENE VALOR EN SI MISMO, como una tarea para la inteligencia humana. Comprendo que los liberales lo nieguen, pero su negación, como pensaba Heidegger, es un "mero" no, que se niega al pensar.
Los demás reproches que leo no me parecen muy maduros que digamos. Son ideológicos, y no cuentan para efectos de las polémicas de este blog.
VSR
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